Le memorie traumatiche persistenti richiedono PSD-95

 

 

GIOVANNA REZZONI & LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 31 gennaio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Le memorie di eventi spaventosi, minacciosi o terrorizzanti, come quelle dei disturbi traumatici da stress, sono al contempo fortemente persistenti ed altamente dinamiche, andando incontro ripetutamente a riattivazioni e ritorni in latenza. La loro natura, come processi neurobiologici, è intensamente studiata ma non ancora bene compresa. Sebbene siano rubricate come “memorie di paura”, è evidente che non si tratta di semplici contenuti semantici di coscienza, ma di evocatori acquisiti e divenuti endogeni di stati funzionali[1] e, in particolare, di condizioni fisiopatologiche connesse con lo stress.

Convenzionalmente si parla di fear memories e ci si interroga sui meccanismi neurali e molecolari sottostanti il loro perdurare. Una lunga storia di osservazioni, dai veterani della Guerra del Vietnam ai superstiti delle Torri Gemelle, costellata da cambiamenti nei criteri diagnostici, testimonia il tormentato impegno della psichiatria nel tentativo di comprendere la natura patogenetica dei disturbi psichici da stress, per migliorarne il trattamento che, negli ultimi decenni, si è basato, oltre che sull’impiego di farmaci, principalmente su tecniche psicoterapeutiche miranti all’estinzione delle memorie intrusive. La caratteristica di apparente indelebilità associata ad un dinamismo intrinseco ha suggerito da tempo l’esplorazione del livello molecolare, ma fino ad oggi non si sono ottenuti i risultati sperati.

Fitzgerald e numerosi colleghi, che hanno realizzato una collaborazione fra prestigiosi istituti di ricerca europei e statunitensi, sembra abbiano intrapreso una via molto promettente indagando il ruolo della proteina PSD-95 (Fitzgerald P. J., et al. Durable fear memories require PSD-95 Molecular Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1038/mp.2014.161, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Laboratory of Behavioral and Genomic Neuroscience, National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism, NIH, Bethesda, Maryland (USA); Department of Pharmacology and Toxicology, Institute of Pharmacy and CMBI, University of Innsbruck, Innsbruck (Austria); Picower Institute for Learning and Memory, Department of Brain and Cognitive Science, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts (USA); European Neuroscience Institute, Gottingen (Germania); Centre for Clinical Brain Sciences and Centre for Neurodegeneration, The University of Edinburgh, Edinburgh (Regno Unito).

Fino a qualche decennio fa i disturbi psichici accomunati dal sintomo dell’ansia e descritti secondo stili di personalità, erano denominati nevrosi o psiconevrosi emozionali, e contrapposti alle psicosi, caratterizzate da deliri, allucinazioni e compromissione di facoltà psichiche strutturali. Le nevrosi erano studiate in termini psicologici e considerate espressione di un difetto di adattamento psichico, la cui causa si riteneva fosse prevalentemente da attribuire a processi psichici inconsci, secondo il modello di interpretazione della psicoanalisi. Attualmente i casi clinici diagnosticati in passato come nevrosi d’ansia, nevrosi fobica, nevrosi isterica e nevrosi ossessivo-compulsiva, sono quasi sempre ricondotti a disturbi dello spettro dell’ansia, insieme con i disturbi da stress acuto e post-traumatico, gli attacchi di panico, i sintomi fobici isolati e l’ansia generalizzata. Le cause di tutte queste manifestazioni cliniche sono riportate essenzialmente a fattori ambientali (eventi e circostanze) e a suscettibilità genetica, epigenetica ed endofenotipica. Un reale progresso è costituito dallo studio della patogenesi in termini di meccanismi neurali. La nascita della psichiatria molecolare, il cui nome è ancora un programma più che una realtà, ha contribuito a definire nel campo delle neuroscienze un ambito della ricerca dedicata alla scoperta dei meccanismi molecolari dei sintomi psicopatologici, ed è andata a colmare un vuoto sempre meno comprensibile e giustificabile alla luce dei progressi compiuti nelle conoscenze neurobiologiche. Infatti, prima del costituirsi della psichiatria molecolare come branca specialistica della ricerca, esisteva una brusca cesura fra la psicopatologia, che era ancora prevalentemente una scienza psicologica, e la ricerca farmacologica che indagava il livello molecolare al fine di trovare farmaci per i disturbi mentali.

Il lavoro condotto da Fitzgerald e colleghi è un buon esempio di quanto oggi è possibile fare nell’analisi del livello molecolare dei sintomi, in attesa di svolte epocali che possano avvicinare di più questo livello di conoscenza di base a quello delle necessità cliniche.

La PSD-95 (da Postsynaptic density 95) è una proteina sinaptica che regola l’ancoraggio del recettore del glutammato, la stabilità della sinapsi ed alcuni tipi di memoria. Per tali ragioni vi è un crescente interesse dei ricercatori sul ruolo che potrebbe avere in vari processi implicanti la conservazione di elementi appresi e, fra questi, i ricordi legati a stress psichici. Su questa base, gli autori dello studio qui recensito hanno ipotizzato un ruolo della proteina PSD-95 nel rendere persistenti le memorie traumatiche.

Per analizzare il contributo di questa macromolecola strutturale alla formazione e alla rievocazione di memorie della paura, i ricercatori hanno impiegato un topo mutante con perdita di funzione, mancante del dominio della guanilato chinasi nella PSD-95 (PSD-95GK). In tale modello sperimentale hanno provato ad identificare le basi neurali del mantenimento della memoria basato su PSD-95 usando il metodo genetico di mappatura ex-vivo immediate-early gene mapping, la registrazione dell’attività neuronica in vivo, e gli approcci KD (knockdown) mediati da virus.

Fitzgerald e colleghi hanno accertato e dimostrato che PSD-95 non è indispensabile per la formazione e l’espressione di memorie recenti di esperienze generanti paura, ma assolutamente necessaria per la formazione di memorie precise e flessibili legate alla paura, e per il mantenimento di memorie a distanza di tempo notevole.

L’incapacità dei topi PSD-95GK di rievocare per effetto di stimoli specifici memorie di paure precedentemente acquisite, era associata con l’ipoattivazione della corteccia infralimbica, ma non con una riduzione di attività della corteccia cingolata anteriore o della corteccia cerebrale della regione prelimbica. Era poi associata ad una riduzione, nei rilievi single-unit, dell’accensione e della scarica dei neuroni della corteccia infralimbica; ed ancora, con un’attenuazione delle frequenze gamma e theta nelle cellule nervose di questa stessa regione.

Il knockdown mediato da adenovirus della PSD-95 nella regione infralimbica, ma non nella corteccia anteriore del giro del cingolo, era sufficiente a compromettere l’estinzione della paura recente e memorie di paura precedentemente formate, oltre ad agire rimodellando le spine dendritiche.

Presi nel loro insieme, questi dati identificano PSD-95 nella regione infralimbica come protagonista di un meccanismo critico nel supportare il perdurare delle memorie della paura nel corso del tempo.

Concludendo, non ci sentiamo di condividere l’ottimismo degli autori dello studio quando affermano che i risultati da loro ottenuti implicano lo sviluppo di nuovi trattamenti dei disturbi d’ansia causati da trauma, rivolti naturalmente all’indebolimento delle memorie emozionali coscienti. Come si può pensare, nell’uomo, a farmaci che agiscano su una proteina strutturale presente nella densità post-sinaptica di tutte le giunzioni interneuroniche, rischiando di disturbare tutte le sinapsi del sistema nervoso centrale? La questione richiederebbe un’articolata ed approfondita discussione, per il momento ci limitiamo ad osservare che i neuroni derivati da fibroblasti di pazienti schizofrenici hanno rivelato bassi livelli di PSD-95[2].

 

Le autrici della nota ringraziano La dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Ludovica R. Poggi

BM&L-31 gennaio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La definizione è di Giuseppe Perrella, che opera una distinzione fra memorie, intese come contenuti cognitivi, procedurali o di abitudine, e queste forme apprese di funzionamento emozionale che direttamente mettono in gioco la fisiologia dell’intero organismo. L’attivazione di queste forme di apprendimento emozionale, come nel caso degli stimoli evocatori della risposta da stress acuto, agisce simultaneamente su numerosi sistemi cambiando l’assetto dell’organismo. Tale rapida conversione - secondo Perrella - richiede un meccanismo centralizzato di switch che potrebbe avere il suo punto nodale nei sistemi dell’amigdala.

[2] Si veda in Note e Notizie 17-09-11 Una rivoluzione nello studio della schizofrenia?